Los Angeles e cosa resta dopo un incendio: uno spazio, o l'emozione?

Come molti ricorderanno, a gennaio, Los Angeles è stata vittima di un potente incendio, una catastrofe che ha segnato e ridisegnato la città, distruggendo oltre 10.000 edifici. Ma questi luoghi erano molto più di semplici strutture. Il linguaggio dell'architettura suggerisce come viviamo emotivamente gli spazi che abitiamo e come ne siamo trasformati. Ciò che mutuiamo dai bar all'angolo, dai ristoranti che ci nutrono, dagli uffici e co-working che ci ospitano, sono impressioni sensoriali, il che significa che quando quei luoghi vengono distrutti, anche una parte di noi se ne va.

Progettare per rassicurare, non solo per resistere

Sirene, evacuazioni, fumo. Chi resta, e ne esce illeso, sospende tutto: si incrina l’idea di continuità, quella su cui si regge il senso del quotidiano. E a quel punto la stabilità vacilla. Negli ultimi anni abbiamo imparato a parlare di spazi resilienti, flessibili, adattabili. Ma in situazioni come queste, non basta resistere. Serve rassicurare. Lo spazio fisico, anche quello condiviso, temporaneo, decentralizzato, può offrire più di una buona connessione Wi-Fi. Può diventare un contenitore emotivo, un punto fermo in cui ritrovare un po’ di ordine dentro il caos. Non è questione di estetica o arredamento, ma di intenzione progettuale: luce che non abbaglia, volumi che non schiacciano, suoni che non invadono. Design che ascolta, senza alzare la voce.

Ufficio Cognitivo: quando lo spazio tiene insieme

Non è un’utopia. È un nuovo standard possibile. Uno spazio che non si limita a contenere la produttività, ma accoglie la vulnerabilità, anche quando parliamo di una città che, in termini di superficie, rappresenta la più grande regione metropolitana degli Stati Uniti. Perché lo spazio non è solo un contenitore. È un alleato mentale. E nei momenti di fragilità collettiva, può diventare una delle poche cose che restano.

Non immaginatevi stanze zen con tè al matcha. È piuttosto un approccio progettuale che parte dalla domanda: “Cosa serve alla mente per potersi mettere o rimettere in moto?” Perché a differenza di strade e linee elettriche, i ricordi, così come i progetti, le speranze, i sogni non sono facili da ripristinare. “Form follows function”: la forma, si dice, segue la funzione. È una regola progettuale con cui conviviamo da sempre. Ma in casi come questo, quella funzione non è più solo operativa. È emotiva, percettiva, profonda. Qui, è la funzione a dover seguire l’emozione. E per rispondere alla domanda iniziale, serve un luogo di ascolto. Di decompressione. Di riorientamento.

Progettare fiducia

Quando attorno a noi tutto vacilla, che sia per un incendio o più semplicemente l’assordante rumore di fondo dell’incertezza quotidiana, non è la performance a salvarci. È la possibilità di sentirci ancora connessi, accolti, parte di qualcosa. Per questo, oggi, progettare uno spazio non vuol dire solo ottimizzare. Deve voler dire prendersi cura. E in fondo, progettare fiducia. È questa la lente che usiamo in Altis: un approccio psicosociale che parte dalle persone, dalle loro tensioni, dai loro bisogni impliciti. Non disegniamo spazi solo per lavorare bene, ma per stare bene anche quando lavorare può diventare difficile.

Di questo, e tanto altro, potete leggere in maniera più approfondita sul nostro sito, nella parte dedicata alla Ricerca Proprietaria Altis.


Dimenticate i benefit: la Gen Z vuole un (vero) motivo per restare

Non basta il tavolo da ping-pong. Né lo yoga sul rooftop, né la scritta “People First” sulla parete. La Generazione Z non è in cerca di benefit. È in cerca di senso. E la cosa più spiazzante? Non vogliono “cambiare il mondo” (spoiler: a quello ci pensano già il cambiamento climatico e i mutui a tasso variabile), hanno semplicemente smesso di cercare il posto fisso in cambio del posto giusto. La questione è semplice: se devo passare otto ore al giorno da qualche parte, voglio sapere perché. E voglio che il “perché” sia vero, non incorniciato in un manifesto aziendale polveroso o nascosto in un buono Deliveroo.

Le frasi che non ti aspetti (ma che forse dovresti conoscere)

“Io voglio restare in azienda. Se trovo un posto che mi tratta bene, non lo mollo.” (Chi l’ha detto? Francesco, 25 anni, ingegnere informatico. Ama Excel, odia i manager passivo-aggressivi.)

“Non ho bisogno di lavorare in costume da bagno. Mi va bene anche in ufficio, ma che sia umano.” (Chi l’ha detto? Chiara, 24 anni, marketing assistant. Ha smesso di credere nei “team building in barca” al secondo meeting su Zoom.)

“Voglio crescere professionalmente. Ma non a scapito della mia salute mentale.” (Chi l’ha detto? Edoardo, 23 anni, consulente. Medita ogni mattina. Ha mollato il fantomatico “posto fisso” perché l’aveva inchiodato alla scrivania.)

Cosa dicono i dati? (oltre a quello che vi ha già detto il vostro stagista)

Secondo studi recenti, la Generazione Z sta smontando, pezzo dopo pezzo, il vecchio modello di posto fisso. I segnali? Abbastanza chiari da far tremare i neon a soffitto:

  • La Gen Z è già la generazione più rappresentata negli spazi di lavoro. Entro il 2030, costituirà il 30% della forza lavoro globale. Non è un pubblico “futuro”: è già qui.
  • Il 78% preferisce ambienti ibridi, ma ben progettati. E no, la sala riunioni con le luci a led non conta
  • Solo il 30% si sente coinvolto dal proprio ambiente fisico di lavoro. Tradotto: il restante 70% costretto in una stanzetta con un middle manager sul collo, sta già dando le dimissioni
  • Cercano autenticità, scelte sostenibili, flessibilità reale. E spazi che diano un motivo per restare piuttosto che uno per fuggire.

La questione “salario adeguato” l’abbiamo già citata? In effetti, ci sarebbe anche quella. Morale della favola: non vogliono un’azienda diversa. Vogliono un patto più onesto.

Ok, ma quindi?

Serve meno paternalismo, più fiducia. Meno chiacchiere sulla resilienza, più ascolto reale. Meno ci prendiamo cura di te, più: dicci davvero che cosa ti serve. Cercano luoghi che parlino la lingua della coerenza, della trasparenza e, sì, anche della gentilezza.

Chi oggi riesce a progettare culture e ambienti così (flessibili ma chiari, caldi ma strutturati) si sta già portando avanti. Il resto? Può pure continuare a riempire l’ufficio di pouf colorati. Ma poi non si lamenti se nessuno resta seduto.

Curiosi di capire se il vostro ufficio parla alla Gen Z? Provate a rispondere a queste domande:

  • C’è flessibilità vera o giusto il venerdì da casa?
  • Lo spazio è progettato per lavorare bene o è solo arredato con un divano carino?
  • I valori si leggono solo nei muri o c’è coerenza nei gesti?
  • Si può scegliere dove lavorare dentro l’ufficio? where to work in the office
  • Community o obbligo sociale?
  • Il verde c'è davvero o è rappresentato solo da una cactus all'ingresso?
  • Il management ascolta, o dice di ascoltare?

Se, leggendole, avete alzato gli occhi al cielo più volte, il problema non è la Gen Z. Il problema è che state ancora cercando di trattenerli con i buoni pasto. Invece, potreste iniziare con una domanda semplice: “Se oggi avessi 24 anni, resterei in questo ufficio?” Se la risposta è no, è il momento di fare spazio. Ma quello giusto.


Dalle sale riunioni a quelle per gli eventi: anche nel mondo della finanza è suonata la sveglia

Se vi dicessimo che uno dei settori più statici, formali, incravattati del mondo sta ripensando i propri uffici, cosa pensereste? È difficile da immaginare, eppure è così: il mondo delle banche, degli asset manager e delle società di consulenza si sta scrollando di dosso la moquette blu e la liturgia da report trimestrale per entrare in un’era nuova. Più fluida. Più vera.

Il nuovo mantra è adattabilità. Oggi gli uffici del settore finanziario iniziano ad assomigliare a set polifunzionali: uno spazio la mattina è usato per una riunione strategica, il pomeriggio ospita un workshop interno, la sera diventa il palco per un talk pubblico o un aperitivo con uno startup partner. Il perché è semplice: non si lavora più solo per fare. Si lavora anche per connettersi. E in un’epoca in cui i talenti evaporano appena sentono aria stantia, anche Goldman Sachs capisce che lo spazio fisico è uno strumento di relazione, non solo di controllo.

Ma, nella finanza, come si riconosce un ufficio che funziona nel 2025?

  • Le scrivanie fisse sono un ricordo. Un po’ come i Blackberry
  • Le pareti si muovono, i layout si riconfigurano. Il mindset? Anche
  • Le sale non sono più riunioni.Sono relazioni:tra colleghi, reparti, partner e talenti che non si fanno incantare da un badge dorato
  • La tecnologia serve per connettere, non solo per elaborare dati
  • E soprattutto: c’è luce. C’è cura. C’è identità

Dalle sedi milanesi delle big four agli headquarters parigini dei grandi gruppi bancari, la parola d’ordine sarà sempre di più trasformabilità. Lo vediamo negli hub digitali nati post-pandemia. Nei piani terra che diventano piazze aziendali. Negli spazi eventi che strizzano l’occhio tanto al branding quanto alla retention. In fondo, un ambiente che si adatta, si apre, si trasforma, è come un buon investimento: rende nel tempo. E attira chi ha capito dove stare.

Caso studio: Il nuovo HQ di JP Morgan Chase a New York

JP Morgan sta costruendo il suo nuovo headquarters al 270 di Park Avenue, New York, e lo chiariamo fin da subito: non è un ufficio, è una dichiarazione d’intenti. Un grattacielo da sessanta piani che sostituisce la vecchia sede, pensato per incarnare il futuro del lavoro in finanza. Cosa c’è di interessante?

  • Spazi flessibili, modulari, adatti a eventi, collaborazione, focus
  • Piani riconfigurabili. Nessuna postazione fissa. Aree comuni che favoriscono l'incontro spontaneo e la serendipity,incluse terrazze verdi, spazi wellness, auditorium interni
  • Sostenibilità integrata: sarà uno degli HQ più green di Manhattan, con consumo energetico inferiore del 30% rispetto agli standard
  • Design pro-trasparenza: open floor plan, niente gerarchie spaziali visibili. Il management sta dentro, non sopra

Chi pensa che il workplace sia solo per HR, non ha capito niente. Nel 2025, lo spazio fisico è branding. È leadership. E se anche chi gestisce i soldi veri ha capito che senza cultura non c’è capitale umano, il workplace torna prepotentemente al centro. Ma non come cornice. Come strumento strategico.

Se vuoi saperne di più su come trasformare il tuo spazio di lavoro in un vantaggio competitivo, contattaci a info@altis-project.com