Holiday Mindset: quando la tua mente si accorge che è dicembre

A dicembre succede qualcosa che non ha nulla a che fare con le decorazioni, i panettoni, o l’algoritmo dei regali. E questo qualcosa succede nella tua testa. Le neuroscienze parlano di anticipatory cognition: il cervello, in prossimità di una transizione, modifica attenzione, motivazione e percezione dell’ambiente circostante. Nella psicologia del benessere compare anche l’anticipatory relaxation response: quando il corpo si rilassa prima ancora di essere davvero in uno stato di pausa. È ciò che accade ogni fine anno con quell’holiday mindset misurabile e ricorrente che vede un leggero scollamento dalla routine, da intendere non come distrazione, ma come necessità neurocognitiva. La mente si mette comoda, un po’ come quell’albero pieno di palline e luci nel tuo salotto.

Quando l’attenzione vacilla

Non ci accorgiamo più dei dettagli abituali come il collega che parla a voce alta, ma notiamo all’improvviso cose che ignoravamo nel quotidiano: il rumore ovattato del corridoio, la sensazione di stacco quando chiudiamo il laptop. Possiamo ricondurre tutto alla neurobiologia. Quando il cervello percepisce una soglia imminente, taglia il superfluo e mette a fuoco l’essenziale. Per questo possiamo consacrare dicembre come un mese selettivo: salva ciò che davvero conta e ti lascia con la promessa del “ne riparliamo a gennaio”. E paradossalmente, è proprio questa selettività a rendere più confuso il celebre rush finale: tentiamo di chiudere tutti i task, ma la mente, impegnata a preparare la transizione, non segue più una linea retta. È come lavorare con un calendario dell’Avvento incorporato: ogni giorno apre una casella, e una porzione di attenzione se ne va altrove.

Il workplace in dissolvenza

Osservare un workplace a fine anno è un esperimento di economia cognitiva interessante: le soste si fanno più frequenti, le conversazioni più leggere. Sono gesti che compiamo quando qualcosa sta per finire: attraversiamo gli ultimi scampoli con un piede nel presente e l’altro già nell’altrove. Il workplace, così, si trasforma in un set di microfasi che ci dettano un’andatura, di passo e pensiero, tutta loro.

Dicembre è questo: un mese in cui la mente prepara la coreografia, alleggerisce la trama e sistema gli oggetti di scena. E quando arriva il momento, noi inconsapevolmente siamo già pronti. A fare cosa? Bè, alle maratone a tavola e a riguardare Una poltrona per due come se fosse sempre la prima volta. Trading Places as if it were the very first time.


Dietro le quinte della case history JPMS

“JPMS è stato prima di tutto un esercizio di convivenza fra due diverse entità”. Così esordisce Isabella Ducoli, Head of Design Altis, parlando della nuova sede romana di JPMS, gruppo internazionale del settore haircare.

Da un lato c’era un’accademia di formazione: corsi per parrucchieri, workshop, brand experience, dimostrazioni tecniche. Dall’altro, gli uffici operativi: marketing e team corporate. “Ci chiedevano un unico spazio per due funzioni che, di fatto, richiedono atmosfere e logiche cognitive diverse, all’interno dello stesso edificio”.

Le criticità: un edificio promettente, ma contraddittorio

L’immobile aveva un grande potenziale con tre accessi indipendenti, ma anche nodi progettuali importanti:

  • un solo corpo bagni, insufficiente per due funzioni autonome;
  • un’area centrale molto profonda, difficile da organizzare;
  • un nucleo, occupato da impianti e locali tecnici, pieno di elementi eterogenei e discontinuità visive;
  • due viste differenti, una ampia sulla piazza e una schermata sulla corte interna.

“Era uno spazio bello ma disordinato,” racconta Isabella. “Avevamo tanti elementi che tiravano in direzioni diverse. L’obiettivo era farli lavorare insieme.”

La strategia progettuale Altis: tre mosse che fanno sistema

La prima mossa è stata quella più strutturale poiché riguardava il cuore dell’edificio: creare un nuovo corpo bagni per garantire le due funzioni, formativa e operativa, senza interferenze.

“L’edificio era molto profondo: serviva un secondo nucleo per dare autonomia a academy e uffici. È stata una scelta tecnica, ma soprattutto organizzativa.” Con questo intervento, le due entità trovano finalmente una distribuzione coerente.

La seconda mossa riguardava l’organizzazione delle viste e la loro fruizione come vera matrice del progetto. “La vista sulla piazza era splendida: luce, profondità, orizzonte. Gli uffici dovevano stare lì. Al contrario, l’accademia non aveva bisogno di panorama essendoci i prodotti, gli schermi e l’esperienza formativa.” Per schermare la corte interna, poco valorizzante, Altis utilizza un sistema continuo di piante integrate che filtra la luce e migliora la qualità percettiva dello showroom.

Infine, il nodo più complesso era il core tecnico centrale: irregolare, visivamente caotico, interrotto da porte, impianti e segnaletiche. Isabella lo ricorda bene: “Era un punto che necessitava di ordine. Così abbiamo pensato a un elemento che non fosse solo estetico, ma efficiente.”

Nasce così la Brand Gallery, un volume unico che corre a tutta altezza lungo il perimetro del core. Una soluzione che:

  • riordina il nucleo nascondendo impianti e discontinuità;
  • funziona da storage continuo per entrambe le aree;
  • si apre nei punti strategici per diventare un vero showcase dei prodotti JPMS;
  • collega idealmente academy e uffici, diventando una spina dorsale narrativa e operativa.

“Era tutto molto frammentato. La gallery è diventata l’elemento che mette ordine e racconta il brand.”

Il risultato: un progetto che tiene insieme due mondi

JPMS oggi è uno spazio coerente, dove funzioni, percezioni e ritmi diversi dialogano senza conflitti. È un caso in cui il metodo Altis mostra come i vincoli possano diventare struttura, e come la narrativa spaziale interna possa trasformare un problema distributivo in un’identità progettuale forte.

Se vuoi conoscere l’approccio giusto per il tuo spazio, scrivici a [email protected] [email protected].


Oltre l’umano-centrico: progettare per l’AI e l’Era delle Macchine

Per anni abbiamo progettato spazi a partire dall’umano, valutando posture, bisogni, emozioni. Ma oggi nei workplace è entrato un nuovo attore: l’intelligenza artificiale. Non sostituisce le persone, ma moltiplica le loro interazioni e ne altera le velocità. Non siamo più soli nella stanza. Siamo in due: una mente emotiva e una algoritmica, che lavorano secondo logiche temporali e operative molto diverse. E anche questo, certamente, ha un impatto progettuale. La domanda diventa allora: cosa succede allo spazio quando due diverse intelligenze ci convivono?

Dai laboratori del futuro alle scrivanie del presente

È il tema affrontato anche da Gensler nel suo studio sui “next labs”. Dal biotech alla robotica, i laboratori stanno diventando ibridi: processi automatizzati accanto a decisioni umane, dati in tempo reale che cambiano il workflow, ecosistemi di intelligenze diverse che condividono lo stesso ambiente operativo. Quello che accade nei laboratori oggi, accadrà negli uffici domani.

Ed è qui che il metodo Altis trova un ruolo cruciale: leggere l’intreccio tra comportamenti, processi e spazi, e tradurlo in un progetto che non favorisca la macchina né la persona, ma la relazione tra le due entità.

Progettare per una doppia intelligenza

Ecco i nuovi elementi progettuali che entrano in gioco creando ambienti in cui le due velocità possano coesistere:

  1. Buffer cognitivi Interfacce spaziali che regolano il flusso informativo tra umano e macchina: stanze di transizione, zone di decantazione decisionale, aree dove “rallentare” l’automazione a favore del giudizio umano.
  2. Soglie di attenzione Percorsi che separano momenti ad alta intensità computazionale da momenti ad alta intensità emotiva. L’AI segnala, suggerisce, prevede; l’umano integra, valuta, modula. Paths that separate moments of high computational intensity from moments of high emotional intensity. AI signals, suggests, predicts; humans integrate, evaluate and modulate.
  3. Ritmi asincroni Spazi progettati per lavori che non seguono più un’unica metrica temporale: il tempo biologico (pausa, postura, riposo), il tempo algoritmico (calcolo continuo). Serve un design che armonizzi i due cicli, evitando il sovraccarico.
  4. Interfacce umane Aree in cui la tecnologia non domina, ma dialoga: schermi che informano senza invadere, sistemi predittivi che non interrompono, ambienti dove il digitale resta leggibile e governabile. Areas where technology does not dominate but converses: screens that inform without overwhelming, predictive systems that do not interrupt, environments where the digital remains legible and governable.

Il metodo Altis come mediatore

Quando i processi diventano ibridi e le decisioni si muovono su due frequenze, serve una postura progettuale. Con il suo Metodo in tre step Consult, Design, Deliver, Altis si rivela il framework ideale per governare questa coabitazione. Un approccio che protegge l’umano, traducendo la complessità in un ecosistema coerente, leggibile, abitabile. Perché mentre il lavoro accelera sul virtuale e sulle logiche dell’AI, la dimensione collettiva tende ad assottigliarsi. Lo spazio fisico diventa allora il contrappunto necessario: il luogo che ci ricorda che, per funzionare, continuiamo ad avere bisogno gli uni degli altri.

Se questi pensieri appartengono anche al tuo workplace, scrivici a [email protected]: alcune conversazioni meritano di prendere forma.