Nel 1994 l’ingegnere olandese Erik Veldhoen, precursore dello smart working per come lo conosciamo oggi, pubblica “The Demise of the Office”: non la solita lamentela sulla frenesia del lunedì mattina a lavoro, ma un vero manifesto. Un attacco al modello d’ufficio standardizzato, impersonale, rigido. E da lì in poi l’ufficio, almeno sulla carta, non è più lo stesso: Nasce il modello ABW - Activity Based Working, che mette al centro l’attività: se devi concentrarti, ti siedi da solo; se devi collaborare, cerchi un open space; se devi chiamare il commercialista (o tua madre), vai nella phone booth. Finalmente, uno spazio che si adatta a ciò che fai. Fine della storia? Non proprio.

Sono passati trent’anni. Nel frattempo sono arrivati internet, le nuove forme di leadership, il Covid, la vivace Gen Z con i loro gesti di protesta, e il ritorno delle piante in ufficio. Eppure, in molte realtà, l’ABW viene ancora trattato come il punto d’arrivo. Ma siamo sicuri che lo sia davvero?

L’ABW ha funzionato. Ma noi non siamo più quelli di prima

L’ABW è stato rivoluzionario, non lo nega nessuno. Ha portato maggiore flessibilità, più efficienza nell’uso degli spazi, un boost in creatività e collaborazione. Ma oggi lavoriamo ovunque, non solo dove c’è una scrivania. Le nostre attività si mescolano agli stati d’animo, ai fusi orari, alle notifiche di Slack e agli sbalzi di serotonina. Non siamo più solo “frazioni operative”. Siamo individui stanchi, curiosi, sovraccarichi, in cerca di senso. E qui l’ABW comincia a mostrare i suoi limiti. Perché oggi servono anche altre tipologie di spazi: per ricaricarsi, connettersi ed esistere, anche quando non stai facendo niente di "produttivo".

Dall’attività all’emozione

A furia di progettare spazi per le attività, ci siamo dimenticati chi le attività le compie: le persone. Con i loro corpi, le loro storie, i loro livelli di energia e le loro fragilità. E se il nuovo paradigma fosse proprio questo? Un modello che non sostituisce l’ABW, ma lo completa. Un modello che parte da una domanda diversa: “Come si sente oggi chi lavora qui?” Siamo nel tempo del lavoro ibrido, del benessere psicologico al centro, della relazione come motore produttivo. Lo dicono anche McKinsey e la neuroscienza, non solo noi di Altis. Forse è il momento di iniziare a pensare spazi che:
– facilitino la regolazione emotiva, non solo il multitasking
– generino fiducia e appartenenza, non solo “zone di collaborazione”
– accolgano la complessità dell’umano, non solo il suo calendar

Non serve buttare via tutto: serve un cambio di sguardo

L’ABW ci ha portato lontano. Ma oggi la sfida è un’altra. Perché chi entra in uno spazio oggi cerca più di una scrivania, cerca un contesto che lo capisca. E se oggi fosse il tempo dell'emotional based working? Un invito ad ascoltare le emozioni che abitano lo spazio, e a progettare non solo per ciò che si fa, ma per ciò che si è. Questo è solo l’inizio.

Se la domanda ti sembra pertinente, o anche se sei solo curioso, scrivici a info@altis-project.com. Ci piace parlare con chi ha voglia di cambiare punto di vista.