C'è chi in valigia mette un romanzo d’amore, chi un giallo, chi le parole crociate. Noi, cinque architetti. Nessun manuale tecnico, promesso. Solo un po’ di forma mentis da infilare tra l’asciugamano e la crema protezione 50. Zaha Hadid, Frank Lloyd Wright, Renzo Piano, Tadao Ando e Bjarke Ingels: cinque nomi che non suonano esattamente come una band estiva, ma che, ognuno a modo suo, hanno riscritto il nostro modo di abitare lo spazio. Del resto, che cos’è l’estate se non una bozza di vita con meno vincoli e più luce naturale?

Zaha Hadid: sbagliare con stile
Niente righello, né simmetrie. Solo curve, tensioni fluide e un pizzico di caos creativo. Zaha Hadid ci ha insegnato che si può essere radicali e glamour, sbilanciati e monumentali. I suoi edifici sembrano surfare sull’asfalto, con un’ostinazione visionaria che ha piegato cemento, software e pregiudizi. Ecco quindi uno spunto utile: l’imperfezione è una firma. E ogni angolo acuto può nascondere una grande intuizione.

Frank Lloyd Wright: fare spazio alla natura
La casa sulla cascata, il pavimento che “segue” il paesaggio, i muri che scompaiono. Wright ha costruito non sul territorio, ma con il territorio. Ha disegnato la prima vera casa moderna e l’ha messa a respirare nella foresta. Perché l’ambiente non è uno sfondo. È un co-protagonista. Se lo ignori, prima o poi ti presenta il conto (anche in bolletta).

Renzo Piano: equilibrio, modularità e pazienza
L’uomo che ha messo le rotelle ai musei (Pompidou) e la leggerezza al cemento (Centro Botín). Renzo Piano è il maestro del dettaglio invisibile, della tecnologia che non si vede, dell’architettura come ingegneria poetica. Come lui ci insegna, il progetto perfetto è quello che sembra semplice, ma ci sono voluti venticinque prototipi per arrivarci.

Tadao Ando: silenzio in cemento armato
Ex pugile, autodidatta, poeta del minimalismo. Tadao Ando scolpisce la luce, più che gli edifici. Ha reso spirituale anche il calcestruzzo, costruendo templi del vuoto e della quiete. Senza girarci intorno: a volte, togliere qualcosa è l’unico modo per far emergere l’essenziale (e questo vale anche con le notifiche silenziate del telefono).

Bjarke Ingels: l’archistar che gioca con i LEGO
La montagna artificiale, il condominio-pista da sci, il masterplan a forma di panda: niente è troppo per BIG (Bjarke Ingels Group). Ingels mescola ecologia, ironia e marketing senza farsene un problema. Ha capito che il futuro si costruisce anche pensando al tempo libero. D’altronde se la sostenibilità non diverte, non funziona. E un tocco di umorismo, spesso, è l’ingrediente segreto di un buon progetto.
Alla fine, lo sappiamo tutti: l’architettura è ovunque. Anche sotto l’ombrellone, tra una granita, un castello di sabbia e un pensiero laterale. E questi cinque maestri ci ricordano che progettare non è (solo) costruire. È scegliere come stare nel mondo, anche ad agosto.

Alla fine, lo sappiamo tutti: l’architettura è ovunque. Anche sotto l’ombrellone, tra una granita, un castello di sabbia e un pensiero laterale. E questi cinque maestri ci ricordano che progettare non è (solo) costruire. È scegliere come stare nel mondo, anche ad agosto.