Settembre: voce del verbo “ricominciare”, ovvero il momento perfetto per rimettere sotto la lente un concetto che da anni fa scuola, l’Activity Based Working (ABW). Bello, flessibile, motivante… sulla carta. Ma cosa succede oggi, nel pieno di realtà ibride e generazioni che vivono il lavoro in modo sempre più soggettivo ed emancipato?

L’avete già notato anche voi, qualche crepa si vede. E visto che, come si suol dire “tre indizi fanno una prova”, abbiamo estrapolato tre dati chiave dalla Ricerca Proprietaria Altis che dimostrano perché è il momento di ripensare il modello così come lo conosciamo.

Primo indizio: dalla flessibilità alla dispersione

L’ABW nasceva con una promessa: più libertà, meno scrivanie fisse, più collaborazione. Ma la realtà post-pandemica ci ha restituito un paradosso: il 55% dei Gen Z dichiara di sentirsi solo o in difficoltà a costruire relazioni sociali ( McKinsey). Se l’ufficio non funziona anche come un collante umano, la flessibilità rischia di trasformarsi in dispersione, perché più libertà non equivale automaticamente a più benessere.

Secondo indizio: produttività sì, ma fino a un certo punto

Gli studi sull’ABW mostrano miglioramenti nell’attività fisica e nella soddisfazione, ma anche piccoli cali di produttività. Insomma, ci muoviamo di più, stiamo meglio… ma lavoriamo davvero meglio? È il classico trade-off: l’ambiente favorisce interazione e movimento, ma senza un disegno calibrato sulle persone, rischia di rallentare i processi invece di accelerarli.

Terzo indizio: il ROI non è più solo immobiliare

Per anni l’ABW è stato adottato per ridurre le postazioni e ottimizzare i metri quadri. Oggi, però, parlare di ROI significa guardare oltre l’occupancy: salute mentale, engagement, qualità delle interazioni. In un mondo ibrido, il vero valore dello spazio non è “quante scrivanie risparmi”, ma “quante connessioni generi”.

La prova: un passo avanti con l’EBW

Ecco perché in Altis parliamo di Emotional Based Working. Non un semplice acronimo da proporre all’Accademia della Crusca, ma un approccio solido, basato sui dati e sulle persone. Alla base c’è la nostra Ricerca Proprietaria, che esplora la relazione tra spazio e comportamento, indagando come l’ambiente fisico influenzi lo stato emotivo e le dinamiche sociali all’interno di un ufficio. È così che ogni progetto si fonda su evidenze scientifiche e su una reale comprensione di come lo spazio possa migliorare benessere e produttività.

Perché il lavoro di oggi è basato sulle emozioni piuttosto che sulla sola attività. Ed è tempo di progettare luoghi che lo riflettano, senza nostalgia per i vecchi modelli, e cogliere un’importante intuizione: il prossimo “upgrade” del lavoro non sarà solo tecnologico, ma anche emotivo.

Il resto della storia? Scriveteci a [email protected]. Ve la raccontiamo. [email protected]. We’ll tell you more.