Ripensare il lavoro, migliorare il quotidiano: benvenuti nella Ricerca Altis

Cominciamo da una verità scomoda: passiamo più tempo in ufficio che a letto. E no, non è una metafora moderna. È statistica pura. Tuttavia, mentre il lavoro si è trasformato più volte di Madonna negli anni Novanta, il modo in cui progettiamo gli spazi in cui lavoriamo è rimasto spesso ancorato a modelli superati. La Ricerca Altis nasce per questo: per smettere di rincorrere “trend” da LinkedIn e iniziare a osservare il lavoro per quello che è davvero. E per come potrebbe essere.

Un laboratorio vivo, fatto di architetti, analisti, ricercatori, project manager e (sì) anche persone comuni, che ogni giorno entrano in un ufficio. La nostra idea? Usare la scienza per migliorare l’esperienza del lavoro. Ma senza perdere il diritto alla leggerezza che, come diceva Calvino: “non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”. Perché il lavoro è una cosa seria, ma prenderlo sul serio non significa ingessarlo. Significa capire cosa funziona davvero, cosa stimola il cervello (e cosa lo spegne), cosa rende un team affiatato, cosa abbassa lo stress, cosa attiva la creatività.

Raccogliamo dati e testimonianze, mettiamo in discussione idee preconfezionate, e il risultato è un portale di contenuti, articoli, insight e provocazioni che raccontano il posto di lavoro… come non è mai stato fatto fino a oggi. Senza frasi motivazionali da planner del lunedì mattina. Senza mitizzare lo smart working come se bastasse lavorare in tuta per essere felici. La Ricerca Altis è qui per guardare in faccia il lavoro contemporaneo: un osservatorio per chi progetta spazi, ma anche per chi li abita, li subisce, li trasforma. Perché il nostro obiettivo non è solo analizzare il lavoro. È riscriverlo, con chi ha il coraggio di immaginarlo diverso.

Lo spazio di lavoro non è neutro (spoiler: no, non lo è mai stato)

Secondo i dati raccolti, quasi il 90% delle persone intervistate ritiene che lo spazio di lavoro influisca direttamente sul proprio benessere. E non solo: il modo in cui ci muoviamo in ufficio, le interazioni che attiviamo, perfino i percorsi inconsci che scegliamo per andare verso l’area break dicono molto più di quanto pensiamo su come lavoriamo (e viviamo). La Ricerca Altis parte da una premessa semplice: non si può progettare uno spazio senza osservare chi lo abita. E lo fa con strumenti rigorosi—interviste, dati biometrici, behavioural mapping—ma anche con una domanda molto umana: “Come ti senti, qui dentro?”. Dallo studio dei pattern comportamentali emergono insight utilissimi: ad esempio, aree nate per la collaborazione che vengono utilizzate per trovare isolamento, oppure angoli informali che diventano epicentro dell’innovazione spontanea. Perché lo spazio parla. E se lo si ascolta bene, può diventare alleato del benessere e della performance. Altis lo fa ispirandosi anche al PERMA Model della psicologia positiva, che individua cinque dimensioni fondamentali del benessere umano: Emozioni positive, Coinvolgimento, Relazioni, Significato, Realizzazione. Già troppi concetti? Forse, ma il nostro obiettivo è rendere questi elementi tanto desiderabili quanto realizzabili.

La produttività non si compra a ore con pacchetti promozionali

No, non siamo sempre meno produttivi. Siamo solo sempre più compressi. Tra notifiche, deadline e riunioni-fiume, ci si dimentica che il cervello non è un muscolo da palestra, ma un sistema complesso che ha bisogno di pause e stimolazioni. E invece ci ostiniamo a trattarlo come una calcolatrice da spremere fino all’ultimo impulso neurale. Ma la verità è che i momenti di inattività non sono tempo perso: sono tempo metabolico. Ecco perché nella nostra ricerca abbiamo analizzato i benefici reali di spazi non strutturati: zone in cui l’assenza di funzione è essa stessa la funzione. Downshifting, decompressione, micro-pause: lo si chiami come si vuole, ma resta il fatto che i team che hanno accesso a spazi informali si dichiarano più lucidi, più connessi e meno stressati. E no, non è solo una questione di design: è una questione di ritmo. O meglio, come direbbe qualsiasi musicista jazz: non è solo quello che suoni. È anche quello che lasci in silenzio.

Dalla ricerca al confronto: un dialogo interdisciplinare

Ci teniamo a dirlo, le riflessioni della Ricerca Altis non si fermano certo a belle parole. Lo scorso 21 marzo, in occasione del Conscious Cities Festival alla Triennale di Milano, abbiamo affrontato questi temi in un confronto aperto con neuroscienziati, architetti, designer e filosofi durante l’evento Regrounding: Reconnecting Bodies & Space. Un pomeriggio di scambi e provocazioni che ha reso visibile (e tangibile) ciò che da tempo osserviamo nei dati: non si può più parlare di progetto senza parlare di corpo, attenzione, percezione. Tra gli speaker, la Dottoressa Nicoletta Brancaccio, curatrice dell’evento e voce autorevole nella riflessione sul ruolo empatico e neurologico dello spazio. Un’occasione preziosa per confermare, ancora una volta, che il futuro del lavoro non è solo una questione di efficienza. È una questione di presenza, relazione e intenzionalità.

Lo avrete capito, non siamo qui per dare risposte comode. Siamo qui per fare domande scomode—con metodo, con ironia, con curiosità vera. Perché il modo in cui lavoriamo ha un impatto enorme su come pensiamo, come ci relazioniamo, come immaginiamo il futuro. E poiché stiamo uscendo da anni di modelli rigidi e finti paradigmi su produttività e disconnessione, allora è il momento di chiedersi: che tipo di lavoro (e ufficio) vogliamo progettare, se il lavoro (e l’ufficio) è dove passiamo gran parte della vita? Scopriamolo insieme.


Gli uffici modellano le città? Come un luogo può influenzare lavoro e stile di vita

La posizione di un ufficio non è solo un puntino sulla mappa: definisce come le persone lavorano, interagiscono e vivono. È l’epicentro delle routine quotidiane, un hub per il networking, per attrarre talenti e per costruire la cultura aziendale.

E la sua posizione all’interno della città? Conta. Eccome se conta. Perché c’è un’enorme differenza tra lavorare in una torre di vetro a due passi dal distretto finanziario e passare le giornate con startupper in felpa in una fabbrica riconvertita a hub creativo. Non prendiamoci in giro: non è la città a dare il tono. È il quartiere. E anche se non c’è una risposta giusta o sbagliata, è fondamentale capire che scegliere dove aprire un ufficio non è solo una decisione immobiliare ma una scelta strategica. Da Milano a Roma, fino a Lisbona, ci sono quartieri che stanno riscrivendo le regole del lavoro. Diamo un’occhiata insieme.

“Milan l'è un gran Milan”

Lavorare a Milano può significare tante cose diverse. Potrebbe voler dire affrontare ogni giorno un percorso a ostacoli fatto di traffico, riunioni a colpi di espresso e pranzi mangiati di corsa sotto i grattacieli di Porta Nuova. Oppure potrebbe approcciare un ritmo più disteso, tra parchi urbani e uffici hi-tech lungo i Navigli. La città è un patchwork di culture del lavoro, definite dai suoi quartieri: Chinatown, per esempio, si sta evolvendo in un melting pot di uffici (oltre che incubatori di ravioli), mentre Lorenteggio si sta scrollando di dosso il passato industriale per abbracciare un nuovo tipo di energia imprenditoriale. Un esempio concreto? La sede di Niterra all’L Building, Lorenteggio Business Center. Un tempo zona industriale, oggi è un hub strategico per aziende in cerca di spazi smart, connessioni solide e infrastrutture flessibili. L’ufficio Niterra è pensato per massimizzare collaborazione e benessere, con ambienti adattabili e soluzioni sostenibili. Una scelta che rispecchia alla perfezione la trasformazione del quartiere: da periferia produttiva a nodo centrale del business contemporaneo.

Roma: quando l’ufficio incontra la Grande Bellezza

Roma è tante cose, ma statica? Neanche provandoci. Certo, lavorare in un palazzo storico con vista sul Colosseo ha il suo fascino (fino a quando non ti blocca un corteo o una troupe cinematografica). Ma oggi il vero fermento è altrove. Quartieri come EUR e Ostiense sono diventati il centro di gravità del business romano, grazie a infrastrutture moderne, spazi di lavoro di nuova generazione e un ecosistema aziendale in piena espansione. Basta guardare l’ufficio di JPMS al 23/31 EUR Center. Uno spazio che incarna pienamente lo spirito dell’EUR: corporate, ma mai noioso. L’ufficio è progettato per offrire la massima efficienza operativa, con layout modulari, infrastrutture digitali avanzate e un design funzionale che lo rendono un esempio da manuale di come un’azienda possa prosperare integrandosi con il proprio quartiere. Per chi ci lavora, il futuro del business è già cominciato (senza rinunciare al caffè in piazza Marconi).

Lisbona: tra start-up, surf e uffici ibridi

Dimenticate l’ufficio tradizionale: a Lisbona si lavora ovunque, da spazi di co-working vista fiume a ex fabbriche rinate come hub creativi. La città è diventata il laboratorio europeo del lavoro flessibile, tra start-up che riscrivono il concetto stesso di “headquarter” e quartieri che fanno del dinamismo una routine quotidiana. Un esempio? La sede di un cliente confidenziale del lusso presso l’Oriente Green Campus. Situato nel Parque das Nações, un quartiere nato dal recupero di un’ex zona industriale, l’ufficio fa parte di un ecosistema in cui business, vita residenziale e spazi verdi convivono in perfetto equilibrio. L’interior design riflette questa visione: ambienti ibridi, materiali sostenibili e layout pensati per stili di lavoro fluidi e moderni. Se il futuro del lavoro è flessibile, qui lo stanno già vivendo da un pezzo.

Quartiere giusto, cultura giusta

Il messaggio è chiaro: le città influenzano la strategia aziendale, certo, ma soprattutto plasmano il modo in cui viviamo il lavoro. Quindi, per tutte le aziende alla ricerca della loro prossima sede, la domanda non può limitarsi a “quanto costa al metro quadro?”. La vera domanda è: dove voglio che le mie persone si presentino ogni giorno? E, altrettanto importante: che tipo di cultura del lavoro voglio costruire? Perché, alla fine, il quartiere giusto non ospita solo un ufficio: plasma le persone che ci lavorano dentro.


Biophilic Office: Perché il futuro del lavoro è più caring che mai

Vi è mai capitato di entrare in ufficio e sentirvi subito... prosciugati? Aria viziata, neon impietosi, scrivanie ammassate come in una catena di montaggio. E poi ci stupiamo se la creatività prende il volo. Ma ecco che arriva il design biofilico: un modo intelligente (e ormai indispensabile) di progettare spazi che non solo funzionano ma respirano. Si parte con due piante in croce per fare scena, e si finisce per trasformare l’intero ufficio in un ecosistema vivente che migliora l’umore, riduce lo stress e fa girare meglio i neuroni. Non sono solo vibe: lo dimostrano anche i dati raccolti dal NHS Forest, secondo cui ambienti con elementi naturali migliorano la qualità del sonno, abbassano la pressione arteriosa e riducono drasticamente i livelli di ansia e cortisolo. Bastano anche solo dieci minuti immersi nel verde per notare una differenza tangibile nella percezione del dolore e dello stress. Altro che aromaterapia d’ufficio.

Più natura, meno burnout. Semplice, no?

Passiamo gran parte della vita tra quattro mura, immersi nella luce artificiale e nell’aria condizionata o “depurata”. Non dobbiamo stupirci se poi alle tre del pomeriggio sembriamo zombie davanti al monitor. Un ufficio progettato con ventilazione naturale, pareti verdi e luci che rispettano il ritmo circadiano non è solo più bello, è letteralmente più sano. L’aria è più pulita, la testa più leggera, e le palpebre decisamente meno appesantite. 

Ma non è tutto. Anche solo una manciata di alberi o una striscia di cielo fuori dalla finestra possono fare miracoli per il nostro benessere. Lo dice la scienza, e il cervello lo sa: un brindisi a questo. Secondo il programma “Green Space for Health”, gli spazi verdi regolari migliorano l’umore e stimolano la funzione immunitaria. Le persone si sentono più connesse, più energiche, più serene. E meno inclini a lanciare il mouse contro il muro (un applauso!) E l’acqua? Sottovalutatissima. Fontane e pareti d’acqua non sono solo da Instagram, ma abbassano il rumore di fondo e migliorano il comfort acustico. Inoltre riducono il carico cognitivo dopo attività mentali impegnative come sopravvivere a tre call consecutive senza buttare il pc fuori dalla finestra.

Meno plastica, più neuroni attivi

Il design biofilico non è solo una questione estetica. È (soprattutto) una questione di sostenibilità. Legno massello, materiali riciclati, sistemi a basso consumo: chi sceglie questa strada non solo riduce l’impatto ambientale, ma migliora la vita quotidiana di chi lavora. Che, giusto come reminder, deve essere una priorità. Il vero punto di svolta? La flessibilità. Un ufficio biofilico non è mai statico: cambia forma, si adatta. Spazi modulari che mutano funzione nell’arco della giornata, angoli dedicati alla concentrazione che diventano sale riunioni improvvisate, zone relax che fanno da scintilla alla creatività. E poi c’è il tocco. Letteralmente. Il cervello reagisce meglio a materiali naturali: legno grezzo, pietra, tessuti organici. È inciso nella pietra: meno plastica, più texture autentiche. E il vantaggio è duplice: le ricerche del Community Forest Trust (partner del NHS Forest) confermano che l’interazione quotidiana con materiali naturali stimola la neuroplasticità, migliora la memoria a breve termine e favorisce l’adattabilità mentale. Non male, per un tavolo in legno grezzo, vero?

Produttività, coinvolgimento, relazioni. Lo spazio in cui lavoriamo non è neutro, ma plasma il nostro modo di pensare, di comunicare, perfino di relazionarci. Un ufficio biofilico non è solo “nicer to look at”: è un posto dove ci si sente meglio, si collabora di più, si lavora meglio. Il futuro del design uguale a “più scrivanie in meno metri quadri”? Tutt’altro. È creare spazi dove le persone hanno voglia di stare, non solo perché sono costretti. All’interno degli ospedali, alcuni pazienti con la camera affacciata su un paesaggio naturale guariscono prima e con meno farmaci. Immaginate cosa potrebbe fare un giardino pensile per il vostro team finance in periodo di bilancio. 

E se questo significa buttare giù qualche cubicolo per far posto a un giardino interno… beh, abbiamo appena trovato il set perfetto per il prossimo happy hour.