Non basta il tavolo da ping-pong. Né lo yoga sul rooftop, né la scritta “People First” sulla parete. La Generazione Z non è in cerca di benefit. È in cerca di senso. E la cosa più spiazzante? Non vogliono “cambiare il mondo” (spoiler: a quello ci pensano già il cambiamento climatico e i mutui a tasso variabile), hanno semplicemente smesso di cercare il posto fisso in cambio del posto giusto. La questione è semplice: se devo passare otto ore al giorno da qualche parte, voglio sapere perché. E voglio che il “perché” sia vero, non incorniciato in un manifesto aziendale polveroso o nascosto in un buono Deliveroo.

Le frasi che non ti aspetti (ma che forse dovresti conoscere)
“Io voglio restare in azienda. Se trovo un posto che mi tratta bene, non lo mollo.” (Chi l’ha detto? Francesco, 25 anni, ingegnere informatico. Ama Excel, odia i manager passivo-aggressivi.)
“Non ho bisogno di lavorare in costume da bagno. Mi va bene anche in ufficio, ma che sia umano.” (Chi l’ha detto? Chiara, 24 anni, marketing assistant. Ha smesso di credere nei “team building in barca” al secondo meeting su Zoom.)
“Voglio crescere professionalmente. Ma non a scapito della mia salute mentale.” (Chi l’ha detto? Edoardo, 23 anni, consulente. Medita ogni mattina. Ha mollato il fantomatico “posto fisso” perché l’aveva inchiodato alla scrivania.)
Cosa dicono i dati? (oltre a quello che vi ha già detto il vostro stagista)
Secondo studi recenti, la Generazione Z sta smontando, pezzo dopo pezzo, il vecchio modello di posto fisso. I segnali? Abbastanza chiari da far tremare i neon a soffitto:
- La Gen Z è già la generazione più rappresentata negli spazi di lavoro. Entro il 2030, costituirà il 30% della forza lavoro globale. Non è un pubblico “futuro”: è già qui.
- Il 78% preferisce ambienti ibridi, ma ben progettati. E no, la sala riunioni con le luci a led non conta
- Solo il 30% si sente coinvolto dal proprio ambiente fisico di lavoro. Tradotto: il restante 70% costretto in una stanzetta con un middle manager sul collo, sta già dando le dimissioni
- Cercano autenticità, scelte sostenibili, flessibilità reale. E spazi che diano un motivo per restare piuttosto che uno per fuggire.
La questione “salario adeguato” l’abbiamo già citata? In effetti, ci sarebbe anche quella. Morale della favola: non vogliono un’azienda diversa. Vogliono un patto più onesto.
Ok, ma quindi?
Serve meno paternalismo, più fiducia. Meno chiacchiere sulla resilienza, più ascolto reale. Meno ci prendiamo cura di te, più: dicci davvero che cosa ti serve. Cercano luoghi che parlino la lingua della coerenza, della trasparenza e, sì, anche della gentilezza.
Chi oggi riesce a progettare culture e ambienti così (flessibili ma chiari, caldi ma strutturati) si sta già portando avanti. Il resto? Può pure continuare a riempire l’ufficio di pouf colorati. Ma poi non si lamenti se nessuno resta seduto.
Curiosi di capire se il vostro ufficio parla alla Gen Z? Provate a rispondere a queste domande:
- C’è flessibilità vera o giusto il venerdì da casa?
- Lo spazio è progettato per lavorare bene o è solo arredato con un divano carino?
- I valori si leggono solo nei muri o c’è coerenza nei gesti?
- Si può scegliere dove lavorare dentro l’ufficio? where to work in the office
- Community o obbligo sociale?
- Il verde c'è davvero o è rappresentato solo da una cactus all'ingresso?
- Il management ascolta, o dice di ascoltare?
Se, leggendole, avete alzato gli occhi al cielo più volte, il problema non è la Gen Z. Il problema è che state ancora cercando di trattenerli con i buoni pasto. Invece, potreste iniziare con una domanda semplice: “Se oggi avessi 24 anni, resterei in questo ufficio?” Se la risposta è no, è il momento di fare spazio. Ma quello giusto.